Ciò che innanzitutto stupisce osservando i lavori di Paolo Marchetti è la profonda abilità tecnica che, sfiorando il virtuosismo, consente all’artista un’espressività quasi innaturale per la materia in oggetto.
Si potrebbe sostenere che esiste un rapporto taumaturgico con la materia, la quale si lascia modellare sfidando costantemente le leggi fisiche.
La magia della creazione è innanzitutto magia tecnica, cioè profonda conoscenza dei materiali e dei mezzi, abilità e sensibilità a cogliere il limite ultimo offerto dalla pietra o dal bronzo.

In queste opere il racconto si sviluppa secondo un ritmo intenso e accelerato, le figure producono torsioni che ulteriormente accrescono la forza centrifuga e tutta l’immagine sembra pulsare e fremere, spinta da una forza interiore. Il contrappunto chiaroscurale interviene energicamente a sostenere le cadenze ritmiche della narrazione, evidenziando l’intima dialettica dei vuoti e dei pieni che sottende l’intera composizione artistica.

L’aspetto figurazionale di queste opere, se da un punto di vista tematico può apparire cupo, dall’altro la dolcezza formale ammorbidisce notevolmente l’immagine, ciò consente una lettura più coinvolgente, dinamica, in alcuni casi perfino conflittuale. Questa tensione tematico-formale genera in ultima analisi un’attenta e approfondita ricerca sull’essenzialità espressiva che determina affascinanti scorribande nel misterioso mondo del simbolismo. Si tratta di un recupero simbolico primitivo, lineare, infantile, arcaico dunque che trova sfogo in una narrazione a volte persino troppo carica, ma pur sempre intensamente emozionale.
Linea e forma, simbolo e racconto, figurazione e materia, sono i dualismi da cui scaturisce l’opera, sono le chiavi di lettura attraverso le quali si accede nel magico e misterioso mondo dell’artista.

Danilo Eccher