La ricchezza della scultura di Paolo Marchetti sta nel saper unire intelligentemente la creatività artistica con la tradizione artigianale. Per quanto riguarda il primo aspetto assistiamo ad una ricerca rivolta all’affinamento della forma e al suo approfondimento. Nel secondo caso si ha una ritualità che porta il peso dei secoli di storia e quindi un’esperienza di lavoro tesa a trasformare il caos del cosmo in un qualcosa di vivo e trasformato. La pratica della scultura assume quindi un profondo significato simbolico. Diventando rito la comunicazione è immediata e a senso alternato: la mano destra che maneggia il maglietto e la sinistra che guida lo scalpello muta la materia ma nel far questo cambia lo stato d’animo di chi esegue la scultura. L’artista è la materia, è la forma, e viceversa. Il talento pratico coincide quindi con il possesso spontaneo dell’arte e con uno stato di libertà e di sincerità interiore. L’idea diventa Essere.

Marchetti ha scelto il marmo, ne prova quotidianamente tutte le qualità, da quello bianco e duro di Carrara, al giallo alabastro senese, al ghiaccio di Lasa. Ma il bianco è anche il simbolo antico del candore, della pulizia, dell’innocenza. L’artista seguendo le venature e le asperità, intraprende il viaggio nella sua dimensione, seguendo i ritmi cadenzati del martellare. Il bianco non può convivere con questo mondo che sfugge lungo percorsi svuotati da ogni Senso. L’amore per un materiale inusuale alla cronaca trova qui la propria motivazione.

E come ultimo grido – perché la materia è anche musica, sonorità – innalza verso l’alto le sue forme allungate, esili, delicate, ritrovando in questa semplice dinamica ascensionale lo spessore della storia e il bisogno di avvicinarsi ai luoghi dove l’improbabile può ancora convivere con la speranza. Queste sculture sembrano dei menhir consumati dal tempo, dal vento e dalle parole: il loro stagliarsi nel cielo partendo dalla Grande Madre terra ne ridefiniscono lo spazio, riproponendo la distanza, la separazione. Noi spettatori possiamo osservarli, cercare di capirne la musica e il mutuo linguaggio che emanano. Ma non rimanere indifferenti.

Fiorenzo Degasperi