Estate 2018
Sculture di Paolo Marchetti a Castelfondo, suo paese natale
Il titolo di questa mostra (“Radici”) va bene non solo perché ha luogo a Castelfondo dove l’artista è nato e dove ha le sue radici, sentite e vissute come linfa e come visione esemplarmente rappresentata da alcune opere, ma tanto più il titolo accresce il suo significato di fronte al ribaltamento figurale del concetto stesso di radici che in tante opere di Marchetti acquista una indiscutibile dimensione ascensionale. Radici ed albero, terra e cielo e proprio in terra e in cielo lo scultore ha tracciato i segni della sua profonda e tesa partecipazione alla vita, alla ricerca del calore dell’abbraccio, del nucleo più duro del dolore e del patire, del fondamento della speranza, della persistenza dell’inconoscibile e dell’impenetrabile.
Orizzonti mitologici e orizzonti di sacro fulgore si intrecciano con cerchi di tepide arie domestiche. Vuoto e pieno si alternano in una sequenza di lunghi anni di lavoro, che finisce per rintracciare un ritmo vitale che si manifesta con coerenza nello spazio e nel linguaggio. Possiamo parlare di una tridimensionalità conoscitiva della ricerca plastica e della sua passione e recitare qualche verso del poeta di Praga Jaroslav Seifert:
C’è un tempo in cui più svelto delle dita
che lo scultore passa sulla creta
il sangue impaziente ti modella
il corpo dal di dentro…
Ma possiamo anche parlare di unità, nel senso con cui ne parlava il grande Medardo Rosso, protagonista di una rivoluzione copernicana nella scultura europea del primo Novecento:
Tutto è unità. – Non si divide e non si ferma l’aria, tutto è unità, un terrain n’etant que la consequence d’un autre terrain, et le tout faisant partie d’un tout.
Dimensioni tecniche e dimensioni emozionali convivono nel gesto plastico di Paolo Marchetti e respirano per così dire attraverso i diversi materiali nei quali si esprimono: il marmo bianco di Carrara, il rosso Verona, il giallo alabastro, il bianco di Lasa, ma anche la terracotta gravida nell’attesa del bronzo. Ultimamente, per amore e per necessità, è arrivato il disegno ripetuto e ossessivo degli occhi, che scrutano il mondo da fuori e da dentro, che perlustrano ogni interiorità. La mostra vuole ribadire con forza la duplicità di ispirazione dello scultore di Castelfondo, quella legata agli affetti e ai sentimenti primigenii e quella arditamente simbolica, che rifugge da astrazioni spazialistiche o geometrizzanti e ricerca con ansia la riconoscibilità della forma e la presenza per quanto rastremata della figura. Da questo punto di vista si può ben dire che tutto è unità nella visionarietà calda di questa scultura, perché seduzione colloquiale e mitico segnale convivono nella sacralità del nuovo spazio creato. Guardiamo per esempio al tema della mano, delle mani, amiche, familiari, ma non solo, mani di comunità (vedi i disegni sulle “radici” a Castelfondo), mani della natura, mani del destino, che accolgono, proteggono, salvano e comunicano. Esemplare il monumento ai caduti di San Zeno, che peraltro si completa verso l’alto con una soluzione plastica di rara intensità e libertà interpretativa dei tre martiri anauniensi, nella profonda omologazione tra caduti e martiri. Ci vieni in aiuto anche Giuseppe Ungaretti quando scrive ( nella poesia “I fiumi”):
Il mio supplizio
È quando
Non mi credo
In armonia
Ma quelle occulte
Mani
Che m’intridono
Mi regalano
La rara
Felicità
Paolo Marchetti ha attraversato la vita conservando sempre negli anni, anche i più difficili, questo legame tenace con l’arte, passando i confini di regioni diverse con la stessa attitudine, con lo stesso spirito. L’arte è le mani che intridono (più di abbracciare) e garantisce l’armonia, anche quando rappresenta il dolore. Per questo regala la rara felicità possibile.
Mario Cossali